I momenti brutti

POI IL DESTINO MANDÒ IL CONTO, E FU UN INFERNO

Arrivò la malattia. Nel 1993 Danielle ebbe un attacco epilettico. La trasportammo in ospedale, ma la diagnosi fu tumore maligno al cervello, il Babau. Si trattava del classico dilemma ‘operare o morire ‘.

«Chi è il miglior neurochirurgo al mondo?», chiesi.

«Il Professor Mitch Berger, responsabile dell’unità di Neurochirurgia dell’Ospedale dell’Università di Denver» mi risposero. Contattai Mitch. Era sul punto di partire per due settimane di ferie. Annullò la vacanza con la famiglia, mise in valigia i suoi strumenti, e salì a bordo del primo aereo che da Denver, Colorado, arrivava a Città del Capo, Sud Africa.

Aveva Danielle davanti a sé sul tavolo operatorio il giorno dopo il suo arrivo. Ci sono volute sette ore, ma riuscì a rimuovere un tumore delle dimensioni di un uovo d’oca dal centro del cervello. Rimase altri due giorni per assicurarsi che lei stesse recuperando bene. Lo accompagnai poi in aeroporto. Durante il tragitto gli chiesi: «Quanto ti devo, Mitch?»

Ma lui rispose: «Sono pagato dall’ospedale della Denver University. Non sono venuto qui per soldi. Sono venuto per cercare di salvare la vita di Danielle.»

Solo più tardi riuscii a convincere quel sant’uomo a portare la moglie e i due figli in Africa per un safari, come mio ospite.

Tuttavia, nonostante l’abilità e la dedizione di Mitch, l’incubo era iniziato. Danielle era andata sotto i ferri come una donna robusta, equilibrata, intelligente e amorevole. È uscita dalla sala operatoria che era una bambina spaventata e confusa.

Mitch aveva dovuto lasciare intatto un piccolo pezzo di tumore. Qualsiasi tentativo di rimuoverlo avrebbe reso Danielle cieca e muta. Dovette perciò sottoporsi alla chemio. Perse tutti i capelli.

Per lenire le ferite terribili al cervello, e prevenire le crisi epilettiche che sicuramente sarebbero seguite, doveva anche assumere un farmaco potentissimo. Tre volte al giorno. Uno degli effetti collaterali era il massiccio aumento di peso. Diventò obesa. Io le dicevo: “Ora che sei così tanta, posso amarti ancora di più.”

Ogni tre mesi il suo cervello doveva essere sottoposto alla tac per rilevare eventuali alterazioni. Queste tac diventarono il perno attorno al quale ruotava la nostra vita.

Alla fine il cancro vince sempre. Il residuo del tumore si era attivato. Volai con lei negli Stati Uniti. Mitch operò di nuovo, ma era l’inizio della fine. Le condizioni di lei cominciarono a diventare critiche a vista d’occhio.

All’inizio del 1999 entrò in coma. Quando morì nel dicembre dello stesso anno ero seduto al suo capezzale e le tenevo la mano. Nella morte sembrava una bambina che dormiva, del tutto serena e tranquilla. Avevo elaborato il lutto nel corso degli ultimi sei anni. La sua morte mi aveva lasciato insensibile e vuoto.